sabato 31 gennaio 2015

Queers: come ti combino il matrimonio... di copertura!

Foto: FreeDigitalPhotos.net

Si chiama Queers, che in slang inglese significa “finocchio”: si tratta di una nuova app per smartphone, lanciata all’inizio di gennaio da un giovane omosessuale cinese, Bill Zhong, 23 anni.

Tale applicazione consente a gay e lesbiche di combinare matrimoni bianchi, eterosessuali e, naturalmente, di copertura, al fine di vivere la propria sessualità con maggiore discrezione, senza che il nucleo familiare e sociale venga a conoscenza della propria “diversa normalità”.

Sembra che l’applicazione, in sole due settimane, abbia già raggiunto oltre 10.000 iscrizioni e che il suo successo sia destinato ad aumentare in modo esponenziale; è stata, infatti, accolta favorevolmente e con grande entusiasmo dalla comunità LGBT cinese.

Come funziona? Semplice! Basta inserire il numero di telefono, la foto e i dati personali; e in men che non si dica, gli iscritti avranno la possibilità di trovare un partner “di facciata” per la vita… quella socialmente accettabile. 

In Cina l’omosessualità è stata considerata reato fino al 1997 e malattia mentale fino al 2001; tuttora rimane un grande tabù e, come nel resto del mondo, il pregiudizio nei suoi confronti comincia già all’interno delle mura domestiche.

Quali le possibili conseguenze?

Personalmente, ritengo che una scelta dettata SOLO dal bisogno di condiscendere la propria società/cultura di riferimento non possa che favorire l’alienazione personale e una sorta di ghettizzazione dell’intera comunità LGBT.

Le conseguenze sul piano sociale non possono che essere negative, favorendo e rinforzando il pregiudizio, lo stigma e la condanna che crescono in modo inversamente proporzionale alla visibilità individuale e collettiva delle persone omosessuali.

Sul piano individuale, ritengo che l’autostima, il senso di un Sé coeso ed unitario (un senso di “sana identità”) siano fortemente minati e potrebbero facilmente tradursi in un malessere psichico degno di attenzione clinica. La scissione tra ciò che viene mostrato al mondo e ciò che viene vissuto in assoluta segretezza, la discrepanza cognitiva, emotiva e comportamentale tra l’intimità finzionale vissuta nel matrimonio e la sessualità consumata fuori da esso non possono essere considerate un indice di salute mentale e sono, quasi sempre, accompagnate da vissuti di vergogna, colpa, disistima e da malesseri ad essi associati (ansia, depressione, abuso di sostanze e molte altre patologie).

Un’ultima considerazione riguarda la convivenza forzata tra i due “coniugi” (e qui il virgolettato è d’obbligo): non credo che condividere la stessa menzogna possa essere un collante sufficiente a vivere in armonia sotto lo stesso tetto.

Sul piano inconsapevole, è molto più probabile che il coniuge venga vissuto come un intruso, come colui, o colei, che impedisce l’unione con la persona amata/desiderata. Ne possono derivare sentimenti di rabbia, irritazione, rancore, disappunto o vero e proprio odio.

Cerchiamo di non importare almeno questa "idiozia"; lasciamola ai cinesi.


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