Michael King, psichiatra e ricercatore della University College of London che ha condotto lo studio, evidenzia che le ragioni che spingono i terapeuti ad una scelta di questo tipo risiedono o nelle loro personali convinzioni religiose o, talvolta, nel convincimento di poter, in questo modo, aiutare le persone omosessuali a superare il vissuto di discriminazione e pressione sociale.
Le conclusioni di King, al riguardo, condannano i professionisti che praticano la “cura dell’omosessualità” e li definiscono ignoranti e spinti da un’opinione assolutamente sbagliata. Secondo lo studioso i consigli offerti sarebbero inappropriati e derivanti dalle personali convinzioni del terapeuta.
King sostiene che, nonostante molte persone omosessuali vivano condizioni di disagio psichico, nel momento in cui decidono di consultare un professionista della salute mentale, dovrebbero trovare persone in grado di far comprendere loro che non si tratta di un problema loro ma della società.
Per quanto riguarda l’Italia è doveroso segnalare che l’Ordine Nazionale degli Psicologi ha preso una netta posizione contraria rispetto ad ogni forma di “terapia riparativa”; i motivi di tale posizione sono riconducibili alla palese violazione di almeno 3 articoli del codice deontologico cui tutti gli iscritti all’albo devono attenersi.
In particolare l’articolo 4 recita:
“Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all'autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnìa, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.”.
Anche l’art. 5 sarebbe violato laddove recita che “Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate”.
Non esistono, infatti, dimostrazioni scientifiche e inconfutabili che l'omosessualità sia di per sé una psicopatologia e, oltretutto, molti sono gli studi che sottolineano che non vi sia alcuna evidenza di successo terapeutico per le terapie riparative.
Un altro punto su cui si basa la posizione dell’Ordine riguarda la violazione dell’art. 3 in quanto si tratterebbe di un esercizio di potere offerto dalla posizione del professionista unito alla sua personale ideologia religiosa:
“Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale.”
La responsabilità professionale e il rispetto del codice deontologico non dovrebbe, pertanto, spingere nessun professionista della salute mentale a cercare di convertire l’omosessualità in eterosessualità.
Nonostante queste evidenze e l’accordo di molte note organizzazioni mondiali (BACP., APA, AMA, APA) esistono ancora oggi sostenitori di tale “terapia” (e il virgolettato è d’obbligo!) che viene praticata con modalità non solo discutibili ma, talvolta, palesemente lesive nei confronti dei pazienti: vengono anche utilizzate scosse elettriche, farmaci emetici, restrizioni, isolamenti, stimoli terrificanti, esorcismo…
La storia del 23enne Samuel Brinton, dottorando al Mit di Boston, raccontata lo scorso agosto a una delle più importanti testate gay d’America, né è la triste conferma (http://anellidifum0.wordpress.com/2011/10/20/usa-i-torturatori-dietro-alle-terapie-riparative/)
Secondo Yarhouse, un sostenitore delle terapie riparative, il successo terapeutico consisterebbe nell’astensione dal comportamento omosessuale nonostante non vi sia una reale cancellazione degli impulsi. In altre parole, una lotta continua contro la tentazione da pensieri, sentimenti e comportamenti omosessuali.
Ci sarebbe da domandarsi se questo tipo controllo sul comportamento possa essere non solo poco terapeutico ma addirittura dannoso per l’equilibrio psichico!
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